Il reale valore della “Condivisione”

Ancora una volta la giustizia sommaria di internet colpisce duramente e, da una accusa diffusa in rete, qualcuno finisce licenziato in tronco senza che ci sia stato alcun processo o sentenza di condanna perché la rabbia della rete, il ruggito dei social, comanda le decisioni delle produzioni televisive e cinematografiche.

Ed invece no.

Ma proprio NO.

Nella lista dei grandi inganni di cui siamo (siete) vittime a proposito delle dinamiche che ruotano attorno le decisioni prese nell’industria dello spettacolo (INDUSTRIA nota bene) c’è la convinzione, esasperata dai social, che l’opinione passiva del pubblico conti qualcosa quando si tratta di influenzare una decisione di alto profilo riguardante rinnovi, casting, licenziamenti etc.

Mi duole farvi presente che no, voi e tutti quelli in possesso di una connessione internet e dell’affiliazione a qualche social contate forse l’1% nel complessivo calcolo delle variabili che muovono, in una direzione o in un’altra, milioni di dollari ed eventuali procedimenti legali.

Ricordo ancora quasi con affetto  (ma anche no) l’esultanza per il rinnovo di Lucifer dopo una nottata di tweet. Come se a dirigere un servizio di streaming su scala mondiale che investe nella produzione di nuove serie centinaia di milioni di dollari, ci fosse una persona che passa la nottata su twitter a leggere i vostri accorati appelli e non un consiglio di amministrazione composto da professionisti  che, avvalendosi della consulenza di esperti del settore, costruiscono strategie di marketing per sapere, mesi prima che qualunque notizia venga diffusa, quanto profitto possono avere da un dato prodotto e se è meglio acquistarlo o cancellarlo.

No, ovvio che no, decidono in base ai vostri tweet.

La notizia travisata e clickbait che indigna le folle nelle ultime 48 ore è il licenziamento di Marilyn Manson da American Gods a seguito delle più recenti condivisioni via Instragram di Evan Rachel Wood riguardanti gli abusi subiti durante la loro relazione.

La giustizia sommaria del femminismo colpisce….no.

No perché, innanzitutto, le dichiarazioni della Wood non sono una novità. Sono anni che rilascia testimonianze agghiaccianti sulla violenza attiva (non certo quella mimica del navigato animale da palcoscenico che è Manson) subita da questo soggetto e solo ora che il suo peso mediatico e le lotte contro gli abusi hanno raggiunto il livello necessario per poter fare realmente leva, qualcuno ha deciso di  intervenire, ma non di certo per vocazione verso il bene comune ne tantomeno per giustizia sommaria.

Quella dello spettacolo è un’industria, un’azienda che gestisce e distribuisce capitali immensi e, come ogni business di questa scala, non potrebbe esistere su un piano morale senza macchia. La gestione di tali quantità di persone, strumenti e capitali non permette di avere il tocco delicato ne di prendere decisioni sulla base di valori morali: contano i soldi e tutto, artisti compresi, sono solo pedine di un gioco molto complesso. La presenza sui social non ha il potere di soppiantare gli altri fattori, ossia quelli che legano il numero effettivo degli spettatori  agli incassi.

Ugualmente anche il fattore umano sarà monetizzabile e una persona sarà ritenuta utile fintanto che la sua presenza sia giudicata un buon investimento:  se ne vale la pena  verrà anche protetto, le “malelingue” messe a tacere, ma con la stessa velocità potrà essere scaricata quando una rivelazione personale venisse ritenuta lesiva per l’immagine (e il conto in banca) dell’azienda che l’ha tenuta segreta fino a quel momento.

Non è una sorpresa che tra gli addetti ai lavori ci sia connivenza e che se qualcuno è problematico, ma il suo valore di mercato è sufficientemente alto, ci si può permettere di pagare il silenzio di colleghi e vittime.

Come ha ben dimostrato il caso Weinstein infatti, inimicarsi una grossa casa di produzione può significare la fine di una carriera, e questo vale tanto per chi sta davanti alla cinepresa che per chi sta dietro.

Da manuale in questo senso è il caso Rapp/Spacey in cui possiamo analizzare facilmente dinamiche pressochè identiche a quelle Wood/Manson. Secondo le dichiarazioni rilasciate da numerose vittime, i comportamenti predatori di Spacey non erano una novità e, specialmente la produzione di House of Cards, gestiva le lamentele offrendo posizioni di lavoro più interessanti. La denuncia pubblica di Rapp, che alcuni hanno interpretato come una ricerca di visibilità, è arrivata invece nel momento in cui i due si sono trovati contrattualmente sullo stesso piano, ed anzi la leva a disposizione della vittima era maggiore, rendendo quindi impossibile ritorsioni lavorative (mentre quelle online non sono mancate, eppure….)

Siete ancora convinti che qualcuno coinvolto in produzioni da diversi milioni decida di fare questo tipo di accuse pubbliche senza 1. Rivolgersi prima ad un avvocato 2.informare la produzione con la quale ha firmato un contratto?

Cerchiamo di essere realisti.

Nulla viene fatto a caso e nessuna azione viene messa in moto senza che ci sia un calcolo dei possibili danni. Quello che grida “colpevole” in queste storie è la ritirata repentina (ma calcolata) nei confronti di Spacey che ha perso ruoli in film dove le riprese erano già iniziate (ma avete la minima idea di quanto costi rigirare 3 minuti di film???) e nella serie tv sopracitata e che, entrambe le produzioni, abbiamo preferito il rinculo della polemica sul politically correct e un calo di ascolti (oltre il rischio di una denuncia per aver rotto un contratto. Ma lo sapete come funzionano questi contratti???) piuttosto che trovarsi a gestire lo scoperchiamento del vaso di pandora.

Il processo mediatico dei social è sicuramente meno dispendioso di una realissima accusa di favoreggiamento in una causa per molestie sul posto di lavoro.

“Ma molti di quelli che accusavano Spacey si sono tirati indietro” (vi sento che lo state pensando).

La maggior parte delle vittime erano giovani assistenti alle prese con i primi passi nel mondo dello spettacolo, convincerli a rinunciare ad una causa non deve essere stato ne difficile ne molto dispendioso.

Quanto sia collaudata e ripetitiva la meccanica di questi eventi si evince in modo ancora più palese nel caso Heard/Depp dove, nonostante il supporto mediatico sia largamente a favore di Depp e recentemente la petizione per far licenziare la Heard da Aquaman 2 abbia raggiunto il milione e mezzo di firm  – attestando quindi che da parte del pubblico la bilancia è in favore di uno – le produzioni che avevano Depp sotto contratto o che (nel caso della cancellazione dei film dal catalogo streaming) ne supportavano l’immagine, si sono velocemente ritratti. Come è possibile che la giustizia sommaria qui non stia funzionando, nonostante la mole di informazioni contro la Heard che si è riversata online, con tanto di dettagli riguardanti il processo in corso? E’ colpa del femminismo? E’ colpa del movimento MeeToo? No.

La scelta di rompere un contratto non dipende da quello che piace a voi, non dipende dalle sommarie e non verificate informazioni che trapelano dall’aula giudiziaria o dagli appelli di amici e parenti nei confronti dell’uno o dell’altra, ma dalle decisioni che prende l’ufficio legale che, solitamente, avvia investigazioni private proprio con l’intento di valutare tutte le opzioni e consigliare la mossa migliore in termini economici. Le denunce pubbliche servono indubbiamente da innesco mettono a nudo un problema, ma non è la bagarre mediatica a pilotare la crisi, ne tantomeno a decidere il destino dei protagonisti.

Sto forse insinuando che Depp abbia delle colpe? NO. Uno dei problemi più evidenti nel suo caso è stata la condanna nella causa contro il Sun che lo ha portato in una posizione sfavorevole, ancora la famosa leva di prima, mentre la sua ex non è stata ancora giudicata e quindi non può essere ritenuta colpevole.

Non sto, per la cronaca e per quelli che non ci arrivano, nemmeno dicendo che gli eventi siano andati come li ho descritti, ma alla luce della vasta gamma di precedenti sull’argomento, sono abbastanza certa che il mio ragionamento valga più di qualche rabbiosa rivendicazione sulla lesione dei diritti umani a seguito di un post denuncia su Instagram.

Per concludere, voi non contate, i social non interferiscono, gli hashtag non servono a niente, le prove indiziarie non sono utili a scagionare o condannare qualcuno e fatela finita di credere a tutto quello che vi propinano i siti di “informazione” che ormai fanno dei drama e del clickbait il loro punto di forza.

Vi lascio qualche link di approfondimento, inclusi i video delle testimonianze della Wood, per i quali vi consiglio di procedere con cautela, soprattutto se il tema degli abusi tende a provocarvi uno stato di ansia.

Testimonianza di Lanzella sul tentativo di molestie di Spacey

Dichiarazioni di Dita Von Teese e colleghi musicisti a proposito di Manson

Il valore dell’industria dell’intrattenimento negli USA

Evan Rachel Wood testimonia al Senato della California

Evan Rachel Wood testimonianza al congresso