Self Made: Inspired by the Life of Madam C.J. Walker
Self Made: o di come potresti raccontare una storia vera che sia fonte di ispirazione per le donne, e la trasformi in una meschina competizione fondata sul desiderio di accumulare ricchezza e potere, contemplando con distacco il misero fallimento del tuo “nemico”.
Onestamente conoscevo in modo molto superficiale la storia di Madame C. J. Walker, ancor oggi presente nel libro del Guinness dei Primati, come prima donna ad essere diventata milionaria senza l’aiuto di nessuno. Partiamo già dal presupposto che questo stesso record è, per stessa ammissione della commissione del Guinness, legato alla tracciabilità del patrimonio della Walker. Altre imprenditrici prima di lei potrebbero averla battuta, ma i loro libri contabili non furono egualmente ben conservati e resi pubblici. In secondo luogo vorrei capire in che senso, chiunque, possa fare qualcosa “senza l’aiuto di nessuno”.
Sia da quello che viene raccontato nella miniserie, sia da che quello che si può leggere nelle biografie relative a questo personaggio, sicuramente straordinario, appare evidente che, senza l’aiuto e il supporto di coloro che aveva intorno, difficilmente avrebbe raggiunto il successo.
Sorvolando su queste questioni che, lo ammetto, sono più delle giravolte sociologiche, veniamo al sodo; credevo che avrei recensito una serie tv, invece mi trovo a dover indignarmi, profondamente, per le inesattezze e le libertà storiche che chi ha scritto e diretto (e prodotto) questa biografia “ispirata a” ha deciso di prendersi. Mi risulta assolutamente incomprensibile quale motivo abbia spinto tutta la suddetta baracca, a prendere una storia vera già così ricca di elementi intriganti, e ridipingerla secondo degli standard lontani anni luce dagli eventi occorsi, snaturando i personaggi storici, sostituendone alcuni per trasformarli in inutili antagonisti, e ponendo l’accento principalmente sulla presunta natura competitiva e di accumulatrice di ricchezza con la quale viene dipinta Madam Walker.
Tranne alcuni elementi base, le umili origini, la mancanza di educazione scolastica, il matrimonio in giovane età, il lavoro come lavandaia e i problemi legati – appunto – alla perdita di capelli, la genesi del personaggio viene imbastita sotto forma di quello che è un sentimento di rivalsa, quasi di vendetta, nei confronti di colei che la introduce all’utilizzo dei prodotti per capelli dedicati alle donne di colore (Annie Malone, ribattezza nella fiction come Addie) .
La trasformazione di questa figura nell’antagonista senza scrupoli, oltre che nel termine di paragone in fatto di bellezza standard alla quale aspirare, è un’offesa fatta e finita nei confronti della donna realmente esistita. La bella mulatta figlia di una schiava che offre a Sarah trattamenti per i capelli in cambio del bucato, ma che si rifiuta di assumerla come agente di vendita per i suoi prodotti a causa del suo aspetto troppo “campagnolo” è quanto il più possibile distante dalla donna che diede invece un lavoro nella propria azienda alla futura Madam C.J. Walker. Anch’essa imprenditrice di colore che nonostante le origini altrettanto umili, trovò il modo di studiare e, grazie ad una passione per la chimica e i prodotti di bellezza, elaborò la formula (poi sottratta e copiata dalla Walker) della crema rinfoltente per i capelli.
Ma non è solo la sua memoria ad essere tradita; la stessa protagonista viene dipinta, e non proprio a tratti, come una donna interessata ad accumulare ricchezza ad ogni costo per assicurare un’eredità alla sua famiglia, cosa che fece anche nella vita reale, devolvendo però moltissima della sua fortuna alla comunità, alle università per le persone di colore ed ad una serie di attività filantropiche delle quali si fa breve cenno nei titoli di coda.
Una missione, quella di permettere ad ogni donna di colore di avere successo partendo dalla cura del proprio aspetto fisico, votata più che all’esaltazione della propria appartenenza etnica, ad una costante rivalsa contro coloro che si conformano allo standard di bellezza occidentale (quindi le mulatte), standard che viene rifiutato ma allo stesso tempo agognato. Sullo sfondo la lotta per l’indipendenza economica di uomini e donne di colore, viene sfruttata solo quando c’è bisogno di spedire al mittente un bel discorso di incoraggiamento, per ispirare le masse e non passare per l’imprenditrice avara e senza scrupoli.
Al termine della corsa però non resta molto, nessun moto di orgoglio, nessun senso di riscatto o di rivalsa, solo un sentimento di pietà per qualcuno che sembra aver dovuto (e voluto) lottare contro tutto e tutti con il solo obiettivo di accumulare soldi (soldi, soldi), e non il racconto della vita di una donna che ha saputo fare la storia e che è stata molto più del patrimonio che ha accumulato.