Esistere non è politicamente corretto.

Oggi si celebra un’altra di quelle giornate che, se vivessimo in una società degna di questo nome, non dovrebbe esistere; le esatte parole contro le quali si combatte oggi andrebbero cancellate dal dizionario, dalla storia, private del loro significato vergognoso in funzione di una civiltà che si rifiuti di farle proprie e dia loro motivo di esistere.

Oggi ci battiamo contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.

Parte di questa lotta, nel corso di questi ultimi anni, si sta svolgendo all’interno delle produzioni legate all’intrattenimento, che sono state per questo spesso ampiamente criticate (o nei casi più subdoli derise)a causa degli sforzi “eccessivi” che hanno messo in atto per includere più sfumature possibili di umanità, e raffigurare di conseguenza tutti coloro che erano stati esclusi dalle rappresentazioni mediatiche.

All’interno di film, serie tv, videogiochi, fumetti etc, hanno fatto il loro ingresso percentuali sempre maggiori donne, persone non caucasiche, nonché le varie sfumature di genere e non più il solito stereotipato affidabile gay di quartiere…

…che è il topic sul quale ovviamente ci soffermiamo oggi.

La normalizzazione della multi diversità sessuale e di genere risulta particolarmente complessa e stroncata a causa dello scorretto assioma culturale/educativo secondo il quale, la sola presenza di esseri umani non eterosessuali, può influire in modo catastrofico nella mente degli utenti più giovani, indirizzandoli verso un futuro contraddistinto  da devianze e comportamenti ambigui e atipici.

Queste sono convinzioni prive di fondamento, determinate da parametri inesatti e non riconducibili ad alcuna evidenza antropologica. L’esistenza di infinite variabili sessuali e di genere è un dato di fatto, presente in tutte le culture dall’inizio dei tempi. Purtroppo di pari passo con la civilizzazione viene anche il bisogno di delineare i confini di quello che si ritiene sia lo standard universale utile a preservare il funzionamento della società e conseguentemente l’esigenza di sopprimere qualsiasi diversità. La convinzione che la vera forza si attesti nella sottrazione degli elementi invece che nell’addizione delle infinite diversità, di modo da poter esercitare il maggior controllo possibile, è una vittoria  di Pirro che comporta una sconfitta culturale di proporzioni devastanti.

Troppo spesso, anche da parte di coloro che si professano inclusivi, femministi, mentalmente aperti etc leggo o sento commenti riguardanti l’inserimento coatto di personaggi appartenenti alla comunità LGBTQA+ (o di donne o di persone di etnie non occidentali) come di una forzatura inutile. Ci sono tonnellate di meme che prendono in giro le scelte di casting di Netflix che si ostina a voler inserire nelle proprie produzione più varietà possibile, andando spesso incontro a quello che viene viso come una sorta di revisionismo, sia storico che narrativo, in funzione di un political correct esteso all’eccesso.

Innanzitutto ci terrei a precisare, per chi fosse digiuno dell’argomento, che il casting televisivo e cinematografico si sta semplicemente avvicinando a quello teatrale, nel quale è la performance offerta, piuttosto che l’estetica, a far ricadere la scelta su di un performer piuttosto che di un altro.

Inoltre guardando dalla lente del “buonismo” non si analizza la radice del problema, ossia l’errata percezione di base che ci ha portato ad assorbire come consuetudine la rappresentazione del protagonista come maschio bianco.

Il nostro intero bagaglio culturale è stato scritto e tramandato secondo il volere e il piacere di coloro che hanno dominato la storia, decidendo razionalmente di cancellare tutti gli elementi non funzionali alla narrazione della propria identità etnica, culturale e sessuale.

Si dice che la storia la scrivano i vincitori. Spesso anche i vinti si adeguano per sopravvivere.

Se dovessimo continuare a rappresentare ogni personaggio per come è stato descritto negli ultimi 500 anni circa, pochissimi attori di colore, pochissime donne e un’infinità di altre categorie “minoritarie” non avrebbero occasione di mettere piede davanti ad una macchina da presa.

L’inserimento di tali personaggi non è una forzatura, ma una riappropriazione. Non essere stati rappresentati non equivale a non essere esistiti, inoltre la stereotipizzazione alla quale si è stati sottomessi ha esacerbato ancora di più la percezione di queste categorie come l’elemento estraneo e diverso, ha favorito la coltivazione di fobie irrazionali e spinto coloro che si vedevano difformi ad isolarsi o, ancora peggio, ad omologarsi, sotterrando tutta un bagaglio emotivo e di bisogni psicofisici, in favore di uno standard che conduce verso l’inevitabile odio verso se stessi e verso coloro che hanno deciso di esprimersi liberamente.

Certamente non tutti i prodotti sono stati in grado di inserire i personaggi nel modo più funzionale; in alcuni casi ci sono evidenti forzature e la riproposizione di stereotipi, alcuni perfino di nuova creazione,ma guardiamo in faccia la realtà della storia dei media. 

Dagli albori delle produzioni cinematografiche fino a non molti anni fa, centinaia di prodotti hanno sacrificato l’appartenenza etnica di un personaggio per favorire la presenza di un attore, hanno promulgato un’uniformità di genere, spingendosi fin nella loro vita privata, hanno negato l’evidenza e hanno costruito le performance delle identità di genere non conformi alla rassicurante eterosessualità, in siparietti comici, se non in degenerazioni mentali volte a caratterizzare i tratti estremamente negativi di un dato personaggio.

Sicuramente nella scrittura contemporanea di personaggi e storie errori imperdonabili sono stati commessi, ma si ha l’impressione, secondo le critiche he vengono poste, che ogni scelta  messa in atto per riparare a quanto fatto in passato debba essere giudicata e analizzata al microscopio, per poi decidere se giusta, sbagliata, adatta, realistica, necessaria.

La morbosità che ha caratterizzato la scrittura di alcuni personaggi nei prodotti mediatici degli anni 2000 ha contribuito certamente a rompere il ghiaccio, ma non ad agevolarne l’accettazione, soprattutto al di là dello schermo.

Dobbiamo recuperare secoli e secoli di oscurantismo, qualche errore può capitare, ma l’importante è continuare su questa strada.

L’aspetto più interessante della rappresentazione attuale è che la modalità più funzionale risiede nella totale normalizzazione (quasi disinteresse) della loro presenza. Nessuno, se non per motivi specifici legati alla narrazione, dovrebbe essere introdotto in base ad un’etichetta, le sue peculiarità dovrebbero sempre essere date per scontate, accettate come quella di chiunque altro.

Personalmente alcuni dei migliori approcci in tal senso li ho ritrovati in prodotti quali Crazy Ex Girlfriend, Sex Education, Star Trek: Discovery, Brooklyn 99, Sense 8, solo per citarne alcuni e perché sono tra quelli che ho visto, nei quali ho potuto apprezzare un personaggio e poi conoscere la sua storia, esattamente come accade “normalmente”.

Vi invito a segnalarci altri prodotti (inclusi film, fumetti, libri) che abbiano trattato l’argomento in modo inclusivo, sarebbe un bel modo di creare una lista in tempo per celebrare il 50° anniversario del Pride che cade il prossimo 28 giugno.

Per chiudere voglio ribadire nuovamente e in parole ancora più semplici il concetto alla base di questa riflessione di oggi; se vi proclamate femminist*, alleat* della comunità LGBTQA+, inclusiv* e tolleranti ma   pensate che ci siano troppi gay, donne, persone non propriamente caucasiche nello schermo o sulla pagina di fronte a voi, forse dovreste pensarci meglio.

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