Colpevole di non aver commesso il fatto.
Torniamo alla nostra regolare pubblicazione entrando a gamba tesa su un argomento molto diffuso e che, non solo ci sta a cuore, ma sta anche mettendo a dura prova la nostra pazienza: l’utilizzo del termine politically correct.
Questa definizione è divenuta ormai una sorta di spauracchio, un riflesso automatico privo di sostanza sulla bocca di chi non apprezza i cambiamenti e mal digerisce i tentativi di imboccare nuovi percorsi di inclusione, comprensione, accettazione e uguaglianza.
E’ comodo farsi schermo con un concetto di così ampio spettro, senza avere la minima idea del suo reale significato; e no, non ci sono interpretazioni giuste o sbagliate, c’è il politically correct nella sua specifica funzione e definizione. In opposizione c’è come invece viene percepito, confuso e rielaborato, per circoscrivere situazioni nelle quali non viene affatto applicato o per denigrare qualsivoglia azione che si allontani dalla diffusa mentalità suprematista del colonialismo occidentale. (sì, stiamo parlando del modello sociale maschio cis etero bianco patriarcale tossico etc)
Per conoscere il significato di politically correct vi rimandiamo a questa precisa e completa ricapitolazione pubblicata sul sito di Treccani ad opera di Marco Brando, ma ve lo riassumiamo in sei semplici parole: Il Politically Correct è uno strumento.
Non ci sono significati nascosti, complotti o strategie di marketing dietro questa definizione; si tratta semplicemente di uno mezzo finalizzato all’aggiornamento del linguaggio, volto ad estirpare quelle terminologie che, con il passare degli anni, divengono non solo obsolete ma anche lesive della sensibilità altrui.
Questo non denota l’intenzione di censurare, circoscrivere l’espressione delle opinioni o mettere un limite al numero di vocaboli utilizzati, bensì l’esatto contrario: con il corretto utilizzo di questo strumento il dizionario si amplia, nuovi termini vengono introdotti e il linguaggio diventa più funzionale ed efficace.
Non sempre l’evoluzione della lingua procede nella direzione ideale e, ad entrare nell’uso comune, sono termini nati per disprezzare o escludere ciò che vanno ad identificare. Soprattutto in passato, la carenza di una mutuale sensibilità nei confronti di alcune categorie, ha permesso la diffusione di terminologie pregiudizievoli e offensive che sono divenute delle definizioni standard. Il politically correct interviene tra l’altro in questo tipo di situazioni.
Quello che spesso porta fuori strada, riguardo questo strumento di correzione, sono i valori ai quali fa riferimento che sono alla base anche di altri fenomeni legati alla riadeguamento della società, e in particolare dei mass media, quali inclusione (ossia l’inserimento di tutte le variabili umane) e rappresentazione (il modo in cui vengono presentate), per non parlare dell’utilizzo di questo concetto in modo del tutto arbitrario, come abbiamo già sottolineato, soprattutto da parte di chi fa informazione e dovrebbe quantomeno conoscere il significato delle parole.
Ci troviamo quindi, per fare uno degli esempi più frequenti, a leggere dell’ennesima operazione di politically correct (già qui il termine è usato in modo errato) nell’ultima produzione Netflix, colpevole di aver denaturato una storia proponendo una serie tv con personaggi tradizionalmente bianchi, interpretati da attori di diverse etnie, con una forma fisica che non rispetta i canoni della bellezza stereotipata, rappresentanti della comunità LGBTQIA+ o diversamente abili.
Questa politica viene spesso e volentieri etichettata come politically correct ed esposta allo spettatore sotto forma di operazione commerciale “buonista”, relegata alla bolla delle operazione di marketing colpevoli di avere un doppio fine.
Quanto ciò è da considerare veritiero e quando rientra invece nel mero sistema capitalista?
Da un lato si può credere nell’intento progressista di queste produzioni, di voler includere una rappresentazione valida dell’umanità in tutte le sue variabili, dall’altro si potrebbe scorgere quello che sembra più un espediente commerciale volto a ripulirsi la coscienza e a raccogliere le simpatie di tutto un bacino di utenza che fino a qualche anno fa era stato scarsamente rappresentato.
Quindi dove si colloca la verità in questo caso?
Non è facile dare una risposta soprattutto perché, dopo decenni di rappresentazioni univoche o stereotipate della maggioranza delle categorie che sono una parte integrante dell’umanità, e considerando la recentissima conquista della libertà di espressione di alcune di queste, che fino a l’altro giorno si trovavano (e in molti casi ancora si trovano) ad essere escluse, negate e represse, il fatto che ve ne sia una esposizione anche lievemente esasperata non dovrebbe rappresentare un problema, soprattutto se alla base del nostro pensiero risiedono quei valori di inclusione e accettazione che non ci fanno fare distinzioni tra gli esseri umani.
Esiste il problema?
Forse, probabilmente, ma anche se fosse, di cosa dobbiamo incolpare questi strumenti?
Di aver aperto la strada a chi ha lottato per anni per un pezzetto di marciapiede?
Se così fosse, se questo fosse l’approccio sbagliato, comunque non si potrebbe dare la colpa al politically correct.
Perché?
Facciamo un esempio: se vedete qualcuno utilizzare un martello afferrandolo dalla testa, sbattendo il manico per piantare un chiodo, secondo voi il problema è lo strumento o chi lo sta utilizzando?
Se poi ci fossero un certo numero di persone, tutte intente a maneggiare il martello al contrario vi sentireste comunque di affermare che bisognerebbe bandire i martelli? Ne dubito. Eppure molti gridano al complotto del martello e alla sua intenzione di sovvertire il modo di piantare i chiodi nel muro, denigrandolo e sostenendo che se si continuano ad utilizzare i martelli poi non sarà più possibile piantare chiodi. Talvolta c’è anche qualcuno cerca di piantare il chiodo con un cacciavite ed ecco che si inveisce contro lo strumento affermando che il martello sta rovinando il chiodo anche quando non è presente.
Ecco, questo ragionamento suona completamente surreale ma è quello che accade, costantemente, quando si discute di politically correct senza conoscerne la definizione, oppure quando lo si assimila ad altri strumenti con i quali condivide i valori di base.
Questi stessi principi morali dovrebbero essere quelli che ci permettono di trascendere gli schemi ai quali siamo stati abituati (sì, sempre lo standard maschio alfa cis etc) e vedere il mondo come un insieme di variabili infinite, dove chiunque, indifferentemente dal sesso, genere, orientamento, etnia, colore della pelle, abilità, forma del corpo e via dicendo, possa diventare l’eroe, la guida, l’oggetto di attrazione, la persona che necessita di essere salvata, il buono e anche il cattivo, e tutto ciò senza che le sue specifiche biologiche o psicologiche entrino minimamente in questione rispetto alla costruzione del personaggio.
Non c’entra il politically correct (o il buonismo) se re Artù diventa un uomo di colore e insieme a lui la Sirenetta e Trilli, perché sono opere di fantasia che possono essere rielaborate e non rivisitazioni storicamente accurate. Ma allora se facessimo Martin Luther King bianco? Beh forse dovreste fare un ripasso di storia e rendervi conto che se una persona è divenuta un’icona perché ha lottato per i diritti di coloro con i quali condivideva il colore della pelle, è abbastanza ovvio che usare un attore caucasico scardinerebbe la base stessa della Storia.
Chi si lamenta dell’aderenza storica spesso la materia non l’ha affatto studiata, non ha la minima idea di quanto spesso sia stata riscritta e quanti siano stati cancellati per cementificare l’immagine egemonica dell’umano “superiore” nonostante esso abbia sempre rappresentato solo una quota minoritaria della vastità di combinazioni in essere.
Torneremo a parlare di questo argomento approfondendone alcuni aspetti specifici, essendo esso stesso strettamente legato alla reale cultura della cancellazione che ha portato alla scomparsa dai libri di storia di moltissime donne (e non) che hanno invece contribuito in modo sostanziale all’evoluzione del genere umano.