Ci rincresce informala che questa scelta non è valida.
Oggi, 21 aprile 2020, verrà ricordato come quel giorno in cui, aprendo un link di buzzfeed nell’intento di farmi beffe della stupidità altrui, ho rimediato invece un tic nervoso e un accesso di sangue al cervello.
In quella che doveva essere un’imbarazzante, ed a tratti patetica, carrellata di esseri (sub)umani che, in varie parti degli Stati Uniti, manifestano contro il lockdown invocando il proprio diritto a non essere costretti in casa, con slogan tipo “Datemi la libertà o datemi la morte” (pssst…), mi sono imbattuta invece in quello che, spero, sia solo il frutto della mancanza di buonsenso e non un grave attacco ideologico.
La suddetta sequenza di immagini riportava le foto di alcuni dei cartelli più imbarazzanti creati dai partecipanti alle manifestazioni.
Oltre a varie declinazioni del già citato inno alla liberazione in cambio di un virus mortale (prego, tutti ospiti miei), i rimandi dei soliti complottisti, gli antivax e quelli che, apparentemente, non possono stare in casa senza la messa in piega professionale – insomma fate in modo che gli altri lavorino e rischino la vita per soddisfare il mio superfluo benessere – alcune giovani donne esibivano con orgoglio il cartello che mi ha provocato il sopracitato accesso di rabbia: My Body My Choice.
Permettetemi di contestualizzare: da giorni Trump, il Presidente degli Stati Uniti, sta twittando senza sosta “LIBERATE –inserire nome stato” concentrando ovviamente la sua attenzione sugli Stati dove si sono già svolte proteste o dove il suo bacino di voti è più ampio (vi ricordo che questo è il suo ultimo anno di mandato e che le gestione territoriale si suddivide tra statale e federale, quindi ogni stato ha una sua propria indipedenza). Si sta quindi rivolgendo ad una fetta di popolazione ben specifica, con una mentalità facilmente inquadrabile secondo certi schemi, il tipo di persone che si presentano davanti alla sede municipale con il mitra al collo, per fare un esempio. Non è un mistero che i sostenitori di Trump siano per la maggioranza votati alla strenua difesa del secondo emendamento (aka fatemicomprareifucilidassaltoalsupermercato), che sguazzino nella palude del fanatismo religioso – solitamente di origine cristiana in una delle mille variazioni nate negli States – che si battano fino allo stremo contro il riconoscimento di diritti alla comunità LGBTQA+, che se la prendano con gli immigrati e, per giungere al punto, che si dichiarino attivi sostenitori del PROlife, ossia di coloro che danno maggiore importanza al concetto astratto di vita, piuttosto che a preservare la sopravvivenza della persona che per la quale quella vita è un fattore concreto.
Solitamente sono anche “tutti” favorevoli alla pena di morte.
La frase scelta da queste donne, il cui profilo potrebbe rispecchiare vari aspetti di quelli elencati qui sopra, per sostenere il proprio diritto a VOLERSI AMMALARE, assume quindi un significato agghiacciante.
Mi sono chiesta se l’appropriazione del concetto potesse essere stata una sorta di iperbole, un modo sarcastico per provocare coloro che difendono la scelta di come vivere, piuttosto che la vita in quanto concetto. Paragonare l’appoggio alla libera scelta di condurre la propria vita secondo le proprie regole, che si estende anche a decisioni più gravose quali, ad esempio, l’eutanasia, non può e non deve essere strumentalizzato da chi inneggia invece ad un comportamento che non mette a rischio solo la propria persona, ma l’intera popolazione umana.
Se dispongo di scegliere cosa fare con il mio corpo praticando un aborto nei tempi prestabiliti o terapeutico, nel caso in cui la mia vita sia in pericolo, non sto mettendo a rischio 10, 100, 1000 e più sconosciuti che incrocerò casualmente perché non posso vivere un mese senza il caffè di Starbucks. Non si tratta di decidere di ricorrere all’eutanasia perché la qualità della mia vita è ridotta al minimi termini e non posso più sopportarla, perché in tal caso la salute di nessuno verrà danneggiata da questa mia azione.
Stiamo parlando invece di un atteggiamento di totale e manifesto menefreghismo, dove il mio personale capriccio, la mia blatante ignoranza e l’incapacità di elaborare le conseguenze potenzialmente catastrofiche del mio agire, mi possono portare a danneggiare un numero incalcolabile di esseri umani, fino a provocarne una morte prematura.
Usare questa frase cercando, in modo subdolo, di ampliarla all’eterno dilemma filosofico del “dove finisce la tua libertà e dove inizia la mia” è profondamente sbagliato ed estremamente pericoloso. Alimenta, soprattutto in quelle menti poco avvezze al ragionamento, l’idea che coloro che la usano debitamente siano dei pazzi votati al culto della morte; la stessa tattica comunicativa è stato peraltro utilizzata qui in Italia proprio dai militanti prolife con dei cartelli pubblicitari apparsi su tutto il territorio, dove le varie opzioni riguardanti la decisione di operare una scelta personale sono state divulgate in maniera mistificatoria, contribuendo a diffondere disinformazione e sgomento. In termini di social le implicazioni possono essere incalcolabili. Se un hashtag recante la frase divenisse virale perché legato a questi atteggiamenti sconsiderati, verrebbe arrecato un danno ingestibile alle lotte portate avanti fin ora per il diritto alla scelta di come decidere di condurre la propria vita e al libero esercizio delle decisioni riguardanti il proprio corpo. Due elementi che comunque ancora mancano quasi completamente nella nostra società attuale.
Mi auguro e spero con tutta me stessa che questo tipo di manifestazioni e cartellonistica vengano ricordati solo per il senso del ridicolo che hanno suscitato, e che non vi sia dietro una scelta calcolata da parte di alcuni attivisti – che evidentemente disdegnano la vera libertà – di traslare verso un significato completamente mistificato un importate messaggio.